Spesso le donne che hanno cercato, e cercano, di esprimersi, sia nell'arte che nella letteratura, faticano a trovare moduli espressivi propri e s'appoggiano ai modelli maschili (talvolta anche a compagni di vita anch'essi artisti, o letterati, restandone in ombra; è il caso della talentuosa pittrice Jeanne Hébuterne, offuscata dal genio di Modiglioni, ma anche della scrittrice Paola Masino che, fino alla fine dei suoi giorni, valorizzo più l'opera del compagno Massimo Bontempelli che la sua).
Lamentava ciò in letteratura Sibilla Aleramo, allorché riceveva innumerevoli manoscritti femminili che ricalcavano i cliché tradizionali degli scrittori e non ne elaboravano di propri, ma simili sono le difficoltà che hanno incontrato ad imporsi autonomamente, con stili personali, le artiste (eccezion fatta per personalità prepotenti come Tamara De Lempicka o Frida Kahlo ), ieri come oggi, che pure è consistentemente aumentata la loro presenza nei circuiti culturali, soverchiando ancora il maschile, sia come soggetto che come oggetto.
Non è, questo, il caso di Pinina Podestà che, pur dimostrando d'aver bene assimilato la lezione dei maestri del passato, soprattutto dei prediletti surrealisti, in autonomia, estro ed originalità imprime fortemente di sé ogni sua opera, mostrando autonomia di stile e, sua caratteristica peculiare, come già altrove si è sottolineato, di prediligere, variamente declinato, il femminile.
E centrale è anche in questo suo quadro, “Women in green”, donna in verde, del 1998, rivelatore dei futuri sviluppi compositivi (la rielaborazione in chiave surrealista di temi e soggetti, sia attraverso le tecniche tradizionali che in digitale) la figura femminile (che, per la posa, tanto ricorda la Judith I di Klimt), con il volto illuminato da oblunghi balenanti occhi verdi, naso spropositato, bocca alterata dalla smorfia, rabbiosa, cattiva, che deforma l'espressione, ma che, comunque, pur nella disarmonia (ma c'è bellezza anche nella disarmonia) conserva un suo fascino, corpo soltanto intravisto nella nudità, co/stretta fra i due tendaggi verdi del sipario (è l'Artista stessa a rivelare che il quadro s'ispira ad un'attrice teatrale) che la fasciano e l'avviluppano come due fasci di luce , che non la separano e non la distaccano, dai quali, con la testa, si sporge in esplorazione, in ricerca del contatto con lo spettatore.
Ma un pittore adopera il colore, un quadro è soprattutto colore, miscelato abilmente, sapientemente, in gradazioni, toni, consistenze, velature, trasparenze, e ciò che qui, più dello stesso soggetto, maggiormente colpisce l'occhio dello spettatore, che in assoluta evidenza balza agli occhi, è il colore verde; non a caso il quadro reca nel titolo questo colore: “green”.
Il verde è il colore della serenità (basti pensare alla tranquillità che infonde una passeggiata in campagna), dei prati, dei boschi, delle foreste, delle foglie, della clorofilla che permette alla pianta, tramite la fotosintesi, di convertire in sostanze nutritive l'anidride carbonica, della speranza, e, dunque, è, insieme, tranquillità e turbolenza, colore dell'aspettativa, della rigenerazione, della vita che si rinnova, ma da sempre anche associato al veleno e alla gelosia (pure, in qualche modo, veleno, quando si impone l' esclusivo possesso su chi si ama) .
IAGO
O, beware, my lord, of jealousy;
It is the green-eyed monster which doth mock .
The meat it feeds on; that cuckold lives in bliss ...
Guardatevi, signore, dalla gelosia:
è il mostro dagli occhi verdi, che irride
al cibo di cui si nutre…
(W. Shakespeare, Otello, atto III scena III)
Mostro dagli occhi verdi, definì Shakespeare il sentimento della gelosia per bocca di Jago nell'Otello, e nel quadro colpisce anche il verde degli occhi della donna, balenanti d' uno scintillio che riverbera in guizzo che illumina.
Ma cos'è quella smorfia che deforma il volto? E' riso sardonico e beffardo, è sberleffo al mondo, è rabbia furiosa che, troppo a lungo repressa, infine si palesa atteggiandosi a smorfia?
Non è dato conoscere cosa si celi nei meandri più reconditi degli esseri umani, non è dato sapere quale la scintilla che nell'artista, o nello scrittore o nel poeta, faccia scaturire l'ispirazione, forse sono concause, flussi di emozioni che si confondono e si fondono, ma, poi, cosa importa?
Ciò che conta è l'opera, e il quadro, come la parola, una volta affidato a mondo, da personale diviene di tutti, e ciascuno legge e ritrova qualcosa di sé.
Ed allora, fissando quel volto grottesco, che si sporge cercando di aprirsi un varco tra sé e il mondo esterno, mi piace, molto personalmente, pensare che la bocca sia deformata dalla sua voce di donna che, dal sipario simbolico della vita, entro la quale è costretta a recitare una parte, finalmente più non sussurra, ma urla, lacerando, infine, il silenzio, perché, talvolta, ancora accade che le donne siano costrette ad urlare per farsi ascoltare.
Francesca Santucci.......